I castelli del Parco Nazionale del Pollino
La testimonianza di un passato guerriero della Calabria e della Basilicata nelle potenti mura dei castelli e delle torri
Il castello baronale di Saracena fu demolito tra il 1931 e il 1971; a testimonianza di ciò dei documenti presenti nell'archivio della Sovrintendenza per i Beni Ambientali, Artistici e Storici della Calabria. Si ha del castello una immagine in stampa di G. B. Pacichelli contenuta nel "Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodici province", Napoli 1703. Altre fotografie risalenti ai primi decenni del 1900 mettono in evidenza un castello danneggiato e cadente.
Il Feudo di Saracena, valutato quarantamila ducati, appartenne prima ai Duchi di S. Marco e, successivamente, ai Principi di Bisignano. Alla fine del 1600 fu acquistato all'asta pubblica dal duca Laurenzana Gaetani che, intorno al 1613, lo cedette ai Signori Pescara. Nel 1515, in seguito alla morte del duca Pescara, il Feudo di Saracena passò ai Principi Spinelli di Scalea, che ne ebbero possesso fino a quando, il 14 agosto 1806, per volere di Napoleone Bonaparte, fu emanata la legge rivoluzionaria che sopprimeva la feudalità. A tal ragione i suoi feudatari abitarono il maestoso castello fino al XIII secolo.
Molto probabilmente, anche il kastrum della Saracena faceva parte di quel sistema di fortificazione posto a difesa del territorio della Valle del Crati che dall'antica Sassòne arrivava sino a Casilini di San Sosti. Infatti, il castello baronale fu eretto in un punto strategico che dava un ampio angolo di visuale: le rive marine da Cerchiara fino a Capo dell'Alice, le montagne della Sila, la Valle di Cosenza e tutti i paesi intorno. L'imponente castello che, all'inizio dava alloggio a personalità illustri, conteneva sale sfarzosissime ricche di preziosi addobbi.
La rocca era dotata di imponenti torri con scale ben delineate, di due ingressi che portavano ad un cortile, ad una grandissima
stalla, ad un deposito di cibarie ed ai locali per il bucato.
Nel cortile erano presenti anche locali per selleria e per la legna, un magazzino per l'olio, cantine di ogni dimensione con botti e
barili. A dimostrazione dell'imponenza del castello, anche la presenza di sale e saloni, anticamere, corridoi, talami e retrocamere,
logge, balconi, gallerie ed un belvedere, cucine e dispense, camere e stanze. A poca distanza dal castello era probabilmente
presente un bellissimo giardino con viali, dotato di vasca con pesci.
Quando il castello fu portato a devastazione, le mura e le torri furono distrutte e per poco denaro ne furono vendute le pietre, i
mattoni e le travi. Un certo Leone Rotondaro acquistò l'intero edificio, lo restaurò e lo adibì ad abitazione.
Un manoscritto ritrovato internamente al castello dà precise notizie in merito alla storia del Rotondaro e conferma che il castello,
di antichissima edificazione, era munito di torri, numerose uscite sotterranee ed era chiamato Castello di Sestio,
perché costruito a difesa della città. Nel X secolo d.c. , Sestio, occupata dai Saraceni, fu conquistata dai Bizantini che la
distrussero. Gli abitanti che ebbero la fortuna di scampare all'assalto, trovarono riparo ai piedi del castello e, proprio intorno ad
esso, cominciarono a edificare case, facendo nascere un villaggio a cui venne dato il nome "Saracina" in onore
della donna saracina regnante sulla città, sfuggita miracolosamente all'eccidio avvolta in un lenzuolo.
Il ricordo di questa racconto è visibile in un antico affresco presente sul frontespizio della cappella di S. Antonio, su un
polittico del '500 conservato nella sacrestia della chiesa di S. Maria del Gamio, nel timbro comunale e nel gonfalone di Saracena,
sul quale viene ritratta una donna che fugge, avvolta in un lenzuolo, con intorno la scritta: "Universitas terrae
Saracinae".
Questo paese fu rafforzato, a difesa dagli assalti dei nemici, con mura e quattro porte (Porta del Vaglio, Porta S. Pietro,
Porta Nuova e Porta dello Scarano) dotate di torri. Verso la fine dell'anno mille, Anton Sanseverino, fece costruire ciò che oggi
corrisponde alla parrocchia di San Leone.
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